Butrinto Unibo (foto: Federica Carbotti)

I resti sommersi di un antico ponte di età romana e una struttura, in parte crollata, con pavimenti decorati da tessere di mosaico, sempre di età romana ma utilizzata a lungo, anche in epoca tardo-antica e medievale. Non finisce di regalare sorprese, il sito archeologico di Butrinto, in Albania.

Promosso dall’Università di Bologna, con il Dipartimento di Storia Culture Civiltà, e dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in accordo con l’Istituto di Archeologia di Tirana e con il Parco Nazionale di Butrinto, il progetto di scavo e di indagine è nato nel 2015 e da allora ha lanciato una serie di missioni per riscoprire le molte testimonianze di questa ricca città dell’antico Epiro.

In particolare, dal 2019, il gruppo di ricerca – guidato dal professor Enrico Giorgi dell’Università di Bologna e dalla professoressa Belisa Muka dell’Istituto di Archeologia di Tirana – è impegnato nello scavo stratigrafico dell’acropoli. Nel corso di diverse campagne di scavo sono venute alla luce svariate testimonianze della lunga vita del sito, che è stato abitato quasi senza soluzione di continuità dalla fine dell’età del Bronzo fino al XVIII secolo.

Se nel 2021 le ricerche avevano documentato la prima fase di strutturazione del sito in età arcaica, probabilmente incentrato su un’area sacra circondata da imponenti mura poligonali, le due campagne di scavo di quest’anno – a giugno e a settembre – hanno fatto emergere testimonianze di momenti successivi e altrettanto importanti.

“L’anno scorso, grazie a una serie di metodologie non invasive, in particolare indagini geofisiche tramite Ground Penetrating Radar, avevamo individuato alcune ‘anomalie’ nel sottosuolo che indicavano la presenza di possibili strutture ancora sepolte”, spiega il professor Giorgi. “Nel corso della campagna di quest’anno abbiamo quindi deciso di verificare con lo scavo la natura di una di queste anomalie“.

Con risultati inaspettati: l’anomalia si è rivelata essere infatti il muro perimetrale di un edificio ancora ben preservato nella sua porzione inferiore, grazie al crollo del tetto che ne ha segnato il definitivo abbandono. Una volta rimossi i materiali crollati, sono venuti alla luce pavimenti in cocciopesto decorati con tessere di mosaico, di epoca romana, insieme a molti altri materiali che risalgono all’età tardo-antica e all’epoca medievale. Tutti elementi che indicano una lunga e stratificata frequentazione dell’edificio.

Butrinto Unibo (foto: Stefano Medas)

Ma le sorprese non arrivano solo dal sottosuolo. Le ricognizioni subacquee nella laguna che circonda il sito archeologico, condotte in collaborazione con il professor Stefano Medas del Dipartimento di Beni Culturali dell’Alma Mater (Campus di Ravenna) e con la società Idra di Venezia, hanno permesso di individuare i piloni di un ponte di età romana.

“Il ponte collegava il promontorio di Butrinto con la piana di Vrina, consentendo anche il passaggio dell’acquedotto che riforniva il cuore della città romana”, dice ancora Enrico Giorgi. “Si tratta di un momento molto rilevante per la ricerca su questo centro dell’antico Epiro, poiché per la prima volta i resti sommersi del ponte sono stati documentati con fotografie e rilievi topografici”.

Le campagne di quest’anno, infine, hanno anche permesso di concludere il rilievo topografico con laser scanning del circuito murario di età ellenistica della città. Questa attività – funzionale alla verifica dell’attuale stato di conservazione dei monumenti nel Parco archeologico – era stata proprio il punto di partenza, nel 2015, del più ampio progetto di collaborazione tra Università di Bologna e Istituto di Archeologia di Tirana nel sito di Butrinto. Con la prossima fase di elaborazione dei dati raccolti, sarà così possibile dotare il Parco di un utile strumento per pianificare le future attività di conservazione.

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