Diritti, sicurezza e un salario giusto sono inclusi nel prezzo che paghiamo quando acquistiamo abiti, scarpe o accessori di moda, sia nella fast fashion sia nel lusso? Quali sono le cause del generale impoverimento del settore moda? E quali le possibili soluzioni per una transizione giusta e inclusiva? A queste domande risponderà il convegno ‘Contro le pratiche commerciali sleali e il lavoro povero nella moda’, in programma mercoledì 4 ottobre alle ore 17 all’Auditorium San Rocco di Carpi (Modena), nell’ambito del fuori festival di FestiValori, il Festival della finanza etica che si terrà dal 20 al 22 ottobre a Modena.

Al tavolo si confronteranno i protagonisti del mondo del lavoro, delle imprese, delle istituzioni, del mondo accademico e dell’attivismo, a partire dai dati di due recenti ricerche di Clean Clothes Campaign / Fair Trade Advocacy Office e di Cna Federmoda, che hanno indagano i rapporti di potere nelle catene di fornitura in Italia.

Ad aprire i lavori la vicesindaca di Carpi Stefania Gasparini. Seguirà il dibattito con David Cambioli (Equo Garantito), Deborah Lucchetti (Fair/Campagna Abiti Puliti), Paolo Pernici (Cna Federmoda Toscana), Gaetano Aiello (Università di Firenze), Daniele Dieci (Cgil Modena), Cristina Cotorobai (attivista, content creator) e Vincenzo Colla (assessore allo Sviluppo economico e Green economy, Lavoro, Formazione e Relazioni internazionali della Regione Emilia-Romagna). Modera la giornalista Rai Giulia Bosetti,

Secondo il rapporto curato per l’Italia da Fair (ente di coordinamento della Campagna Abiti Puliti di cui FestiValori è partner), in collaborazione con la Clean Clothes Campaign (CCC) e l’organizzazione europea del Commercio equo e solidale (FTAO), dai rapporti commerciali tra marchi committenti e fornitori del settore moda emergono gravi storture e squilibri. Anche e soprattutto in Italia, snodo manifatturiero per le forniture globali, in particolare quelle del lusso, emergono pratiche commerciali abusive e sleali da parte dei grandi marchi verso le Pmi fornitrici che sono costrette a ricorrere al subappalto, con conseguenti implicazioni negative sul piano sociale e ambientale. Si tratta, di fatto, di una strategia di sopravvivenza all’imposizione non negoziabile di prezzi e condizioni capestro. In questo quadro, Carpi, storico distretto tessile italiano tra quelli analizzati dal rapporto, soffre i contraccolpi di tale squilibrio e vive quotidianamente la sfida per sopravvivere in un mercato della moda aggressivo e di quasi oligopolio.

“I risultati della ricerca condotta in sei Paesi – spiega Deborah Lucchetti, coordinatrice della campagna nazionale Abiti Puliti – parlano di relazioni asimmetriche: la pianificazione degli ordini, i prezzi che i brand offrono ai produttori, non garantiscono ai fornitori di coprire tutti i costi. Questa è una delle cause principali che producono storture e le difficoltà legate alle catene del subappalto”. Non solo. “Le etichette ci danno solo informazioni tecniche e non dicono nulla sul percorso che fa un indumento, dalla materia prima alla commercializzazione” aggiunge Lucchetti, puntando il dito contro “un impoverimento di tutto il settore della moda, caratterizzato da lavoro povero, lavoro insicuro, violazione dei diritti e un pesante impatto ambientale e climatico”.

Da qui la necessità, condivisa dagli imprenditori intervistati, di mitigare lo strapotere dei marchi sulle Pmi, intervenendo proprio sulle cause strutturali che minacciano la salute economica e finanziaria delle imprese e compromettono la loro capacità di garantire il rispetto dei diritti umani e del lavoro. Non a caso, questo tema sarà al centro delle strategie di advocacy della Clean Clothes Campaign per la prossima legislatura europea.
Il convegno ha quindi l’obiettivo di approfondire i temi centrali per il futuro del tessuto imprenditoriale ed economico di Carpi, individuando le connessioni fra le dinamiche internazionali e il territorio, ma anche di sostenere la società civile organizzata e le imprese che vogliono abbracciare una condotta responsabile.

 

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