Ebbene sì. La mia missione in quel di Faenza termina qui. Mettetevi comodi perché ho qualcosa da dirvi e ringrazio anticipatamente chi avrà la pazienza e la voglia di leggermi fino in fondo.

Mi ritrovo a scrivere da una brandina dove, dallo scorso sabato sono accampato, insieme ai miei colleghi. Siamo arrivati sabato scorso, ci abbiamo impiegato quasi tre ore per raggiungere la località. Diversi tratti dell’autostrada erano chiusi e abbiamo dovuto intraprendere percorsi alternativi. Arrivati sul posto, veniamo dirottati nei luoghi dove avremmo dormito e mangiato. Nemmeno il tempo di riposare che subito indossiamo la divisa e cominciamo il turno notturno. Di notte la città si presenta ancora più triste. In diversi quartieri manca la corrente. Centinaia di detriti come mobili e elettrodomestici ricolmi di fango accatastati lungo i marciapiedi. In alcuni tratti, sono ammassati anche in mezzo alla strada, rendendo impercorribile queste vie anche per le auto.

Tra i tanti, mi soffermo ad osservare quel che resta di un quadro ricordo in stampa gigante di un matrimonio, lei sorride mentre tiene la mano al suo compagno di vita. Poco più avanti una casetta delle bambole, probabilmente di una bambina che ha dovuto evacuare la propria abitazione assieme ai suoi genitori. I cassetti aperti, ma dentro non ci sono finti gelati o del pane. C’è fango e ci sono sassi di pietra. In quei tanti detriti si leggono storie di vite, di sacrifici, di gioia, di paura. Si leggono anche tanti sogni infranti. Spazzati in un secondo dall’acqua e dal fango. La maggior parte delle auto presenta i finestrini sfondati, all’interno fango e sporcizia. Diverse auto sono finite in posizione verticale, una sull’altra. Scene quasi apocalittiche, che non basta la tv a raccontare. Devi essere lì per capirle.

Si sono fatte le 6, si ritorna al dormitorio, ci si sdraia sulla brandina con delle coperte e un sacco a pelo di fortuna e poi via in mensa per pranzare. Unica fila, formata da migliaia di soccorritori, forze dell’ordine e sfollati. Ed è qui che riesci a cogliere i volti provati dei soccorritori e la stanchezza e le paure degli sfollati. Mi avvicino ad una famiglia sfollata di nazionalità albanese e comincio a parlare con i figli dei due, accarezzo il volto della bambina, che ha poco più di 5 anni, e le chiedo come sta e cosa vuole fare da grande. Mi risponde che qualche giorno prima era stata salvata insieme alla sua famiglia da un elicottero dei vigili del fuoco. Lei e il suo fratellino sono frastornati e accennano comunque un sorriso ed io con una carezza provo a manifestare sentimenti di stima per il loro coraggio, la loro determinazione e la loro forza di volontà.

Torno fuori. Osservo quel che resta di un cancello in ferro di un centro estetico, completamente sradicato dalla forza dell’acqua e del fango, e all’interno non resta che muri crollati e stanze inondate di fango e praticamente inagibili. L’acqua, in alcune zone, è arrivata ai primi piani, a distanza di giorni, si vedono ancora i segni sui muri esterni. E poi ci sono loro, centinaia e centinaia di ragazzi, con gli stivali ricoperti di fango, risvoltino ai pantaloni e pala in mano. Volontari venuti da ogni parte della Romagna per aiutare i cittadini in difficoltà. E tra una spalata e l’altra canticchiano “Romagna Mia”.

E tra i ricordi più belli porterò con me la dolcezza di Ariola, 3 anni. Una delle tante bambine salvate dai soccorritori e assistite dai volontari durante l’alluvione. Porterò poi la preoccupazione del signor Ludovico, la disperazione della signora Lina. Porterò con me anche la stanchezza delle notti insonne, la scomodità della brandine, porterò i sorrisi, le pacche sulle spalle, i ringraziamenti degli sfollati, le parole di stima, porterò ogni singolo momento che abbiamo passato insieme in questa brutta pagina che ha segnato l’Emilia Romagna. E porterò ancora con me l’eco di “Romagna Mia” cantato da dozzine di ragazzi venuti da ogni parte. Porterò le nuove amicizie instaurate con i colleghi di altri Comandi, porterò soprattutto con me l’amore, l’affetto, l’energia e l’impegno che ho provato a metterci in questi lunghi giorni di permanenza nella vostra città. Ogni momento vissuto e ogni persona incontrata è stata motivo di crescita personale. Grazie per avermi ospitato in questa meravigliosa città. Vi auguro di sorridere sempre e di continuare a splendere. E anche se in questo momento avete il cuore un po’ ammaccato, ricordatevi che l’arcobaleno è più vicino di quanto possa sembrare. E manifestando il mio affetto, la mia profonda stima e la mia immensa gratitudine verso ognuno di voi, vi saluto e vi mando una carezza virtuale. Siete un popolo meraviglioso!

Pietro, Agente di Polizia Locale della città di Sassuolo

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