A seguito dell’incontro con una rappresentanza del personale dello stabilimento Fiac di Pontecchio Marconi, siamo venuti a conoscenza della volontà della multinazionale Atlas Copco di cessare le attività produttive e industriali nel sito, confermando l’intenzione di trasferire le produzioni in uno stabilimento a Torino, con la conseguente perdita di quasi 200 posti di lavoro (tra dipendenti diretti, somministrati e della logistica).

Durante il tavolo regionale del 17 luglio scorso si era condiviso l’impegno dell’azienda a continuare nella ricerca di soluzioni alternative che potessero, se ritenute vantaggiose, mantenere attiva la produzione in loco.

Risulta invece evidente, da quanto riportato dai lavoratori ed espresso palesemente dai dirigenti di Fiac, che l’intento di Atlas Copco è sempre stato solo quello di acquisire le competenze e il prodotto ma non il personale, verso il quale non nutre nessun interesse.  È stato chiaro fin dall’inizio che il trasferimento collettivo nascondesse un licenziamento collettivo. Lo conferma il fatto che Atlas Copco non stia facendo proposte concrete di trasferimento ai dipendenti e, come esplicitato nell’ultimo incontro, non si sia nemmeno resa disponibile a valutare eventuali piani di cessione dell’azienda qualora si manifestasse l’interessamento da parte di altri investitori.

Il personale si trova così a lavorare per il futuro di nessuno, se non di Atlas Copco, che sta mostrando i suoi reali intenti: delocalizzare la produzione, appropriarsi del know out, del marchio e dei clienti dell’azienda, senza manifestare alcun reale interesse per la reindustrializzazione del sito di Pontecchio Marconi.

Se questo verrà confermato dai fatti, l’effetto sul nostro territorio sarà devastante: centinaia di famiglie si troveranno senza lavoro (con un evidente e rilevante danno sociale) e il tessuto produttivo delle nostre città verrà privato di un indotto molto importante, con la conseguente perdita di ulteriori posti di lavoro.

Non solo questo, però, ci preoccupa. La pratica messa in atto dall’azienda che, nel mezzo di una pandemia, comunica unilateralmente una scelta di questo tipo, sarà da apripista per le scelte di altre multinazionali nei prossimi mesi? È necessario approfondire con i vertici aziendali se tale comportamento fa parte della loro pratica aziendale e verrà ripetuto anche per gli altri stabilimenti sul territorio nazionale e se è questa l’immagine che una multinazionale che fa del rispetto dei dipendenti un vanto, vuole trasmettere all’esterno.

Per questo, in qualità di Sindaci dei Comuni più direttamente coinvolti nella vicenda, riteniamo importante che il Ministero dello Sviluppo Economico abbia convocato a breve un incontro con Atlas Copco, cui parteciperemo in rappresentanza delle nostre comunità.

Allo stesso tempo abbiamo in programma l’organizzazione di un incontro insieme a Regione Emilia-Romagna, Città Metropolitana di Bologna e con il coinvolgimento di rappresentanti del Governo, perché riteniamo necessario che comportamenti come questo vengano stigmatizzati anche attraverso azioni politiche e di rilancio della vocazione produttiva del nostro territorio.

(Roberto Parmeggiani – Sindaco di Sasso Marconi, Massimo Bosso – Sindaco di Casalecchio di Reno, Maurizio Fabbri – Sindaco di Castiglione dei Pepoli, Valentina Cuppi – Sindaca di Marzabotto, Monica Cinti – Sindaca di Monte San Pietro, Bruno Pasquini – Sindaco di Monzuno, Alessandro Santoni – Sindaco di San Benedetto Val di Sambro, Daniele Ruscigno – Sindaco di Valsamoggia, Giuseppe Argentieri – Sindaco di Vergato, Davide Dall’Omo – Sindaco di Zola Predosa)

(foto: presidio di maggio/giugno)

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