La ricerca in Emilia-Romagna taglia un nuovo traguardo: s’inaugura oggi – alla presenza dell’Assessore all’università, ricerca e lavoro della Regione Emilia-Romagna Patrizio Bianchi, del Rettore dell’Università di Bologna Francesco Ubertini, dell’Assessore al lavoro del Comune di Bologna Marco Lombardo e del sindaco di Ozzano Luca Lelli – l’ampliamento del Tecnopolo di Bologna “Rita Levi-Montalcini”, con sede a Ozzano dell’Emilia. Con una superficie di 750 mq, la struttura potrà godere di nuovi laboratori e strumentazione sempre più all’avanguardia per la ricerca nel campo delle malattie neurodegenerative. La gestione del Tecnopolo è da sempre affidata alla Fondazione Iret: ente di ricerca scientifica indipendente e nonprofit, guidato dalle docenti universitarie – allieve e collaboratrici per quindici anni di Rita Levi Montalcini – Laura Calzà e Luciana Giardino, rispettivamente direttore scientifico e presidente della Fondazione.

Iret è “l’occhio egizio” della conoscenza, con lo sguardo “tutto rivolto al cervello”: in questo polo medico-scientifico d’avanguardia, inaugurato nel 2012, in forte sinergia con l’Alma Mater Studiorum, lavorano oggi 15 giovani ricercatori che studiano le malattie degenerative e lesioni del sistema nervoso centrale quali sclerosi multipla, malattia di Alzheimer, demenze vascolari, Parkinson, lesioni traumatiche midollari e dolore cronico, con lo scopo di individuare strategie innovative per contrastarne l’avanzamento, ripararne i danni, individuare le cause per prevenirne l’insorgenza. Le malattie neurodegenerative rappresentano infatti una delle emergenze sociali, spesso sottovalutata, del ventunesimo secolo. La demenza di Alzheimer colpisce circa 900mila persone in Italia, il morbo di Parkinson 250mila, la sclerosi multipla un abitante ogni 1.100, tra i 15 e i 50 anni; inoltre, le tendenze demografiche e i cambiamenti negli stili di vita porteranno inevitabilmente a un’esplosione del problema nei prossimi decenni: l’impatto sociale e i costi saranno elevatissimi, al punto da mettere a repentaglio la sostenibilità dei sistemi di welfare.

In quello che si configura dunque come un settore di ricerca fondamentale, Fondazione Iret ha compiuto in questi anni importanti passi avanti. Sulla malattia di Alzheimer: Iret lavora sulle fasi precliniche della patologia, individuando i segnali di allarme precoce, legati ad esempio ad alterazioni del linguaggio e difetti cognitivi sfumati, con il fine di sviluppare strategie terapeutiche che ritardino il più possibile la comparsa dei sintomi. Sulla riparazione della mielina: i ricercatori del laboratorio di Ozzano hanno chiarito alcuni meccanismi chiave che consentono a cellule staminali e precursori endogeni di trasformarsi in cellule capaci di riparare lesioni infiammatorie e traumatiche. Nel raggiungimento degli obiettivi, determinante è il ruolo delle più recenti tecnologie a disposizione dei ricercatori del tecnopolo, da un’avanzatissima postazione dello studio del comportamento spontaneo-cognitivo e sensitivo-motorio a strumenti di amplificazione e quantificazione del DNA, fino a sofisticati microscopi che, grazie ai raggi laser, permettono di studiare le cellule vive a un’eccezionale risoluzione, arrivando al cuore delle molecole. Queste tecnologie e conoscenze sono state inoltre ottimizzate per lo sviluppo di terapie innovative, anche al servizio della ricerca industriale.

Un caso di eccellenza medico-scientifica fondato sulla solidità e l’efficienza di una struttura economico-organizzativa esemplare: Fondazione Iret è l’esito dello sviluppo di un modello gestionale unico nel suo genere, avviato oltre trent’anni fa dalle professoresse Calzà e Giardino con l’obiettivo di coniugare ricerca pura e sostenibilità economica. Iret crea e gestisce modelli di malattia che consentono alle aziende farmaceutiche di sperimentare nuove possibili cure in modo rapido e accessibile: quando un farmaco deve essere testato, arriva a Ozzano. Tutti i proventi dell’attività scientifica svolta in collaborazione con le aziende farmaceutiche vengono reinvestiti per finanziare i filoni di ricerca di base necessari a sviluppare i farmaci di domani. Allo stesso modo, i laboratori del Tecnopolo, costruiti su un terreno di 10mila metri quadri donato dall’imprenditore ozzanese Ezio Baldazzi, sono stati realizzati con i proventi dell’attività di ricerca svolta grazie alla partecipazione a bandi nazionali e internazionali e commesse da aziende, convenzioni con università e associazioni. Questa solidità economica garantisce totale indipendenza nella ricerca.

“Nelle malattie neurodegenerative le terapie disponibili sono sintomatiche e in pochi casi modificano la storia naturale di malattia, dunque la ricerca di base è di primaria importanza; e anche quando non è possibile, ad oggi, intervenire direttamente sulle cause, è però possibile limitare e ritardare l’insorgenza delle disabilità gravi utilizzando approcci innovativi focalizzati sulle fasi precoci della malattia” commenta Laura Calzà, docente di medicina rigenerativa e Scienze Cognitive dell’Università di Bologna. “Gli obiettivi che ci poniamo per i prossimi tre anni sono chiari – aggiunge Luciana Giardino, docente di anatomia veterinaria dell’Università di Bologna -: identificare due elementi di prevenzione secondaria della malattia di Alzheimer; definire, nell’ambito della medicina rigenerativa, la formulazione di un nuovo prodotto farmacologico/biotecnologico per lesioni acute di cervello e midollo spinale; identificare, per quanto riguarda le malattie rare, approcci terapeutici per modificare la storia naturale di malattia dei piccoli pazienti. È necessario il sostegno di tutti coloro che credono nel valore del progresso scientifico e sono disponibili a impegnarsi in prima persona perché si riesca a fare di più, e prima”.

“È una grande soddisfazione – afferma l’assessore all’Università e Ricerca della Regione Emilia-Romagna, Patrizio Bianchi – vedere crescere la rete dei Tecnopoli regionali. Quello di Ozzano, inaugurato nel 2016 e che oggi si amplia ulteriormente, è l’esempio positivo di una fondazione privata che collabora con la Regione, all’interno del sistema dell’alta tecnologia, fondamentale per il nostro tessuto socio-economico e produttivo, che vede insieme imprese e università e sul quale abbiamo investito. È anche questo uno dei volti dell’Emilia-Romagna che guarda al futuro, allo sviluppo della ricerca, in un settore sempre più importante come quello delle neuroscienze, che vuole rispondere anche alle esigenze di una popolazione sempre più anziana. Al Tecnopolo di Ozzano convivono ricerca pura e ricerca applicata, in uno straordinario rapporto con il mondo delle imprese, della formazione e dell’Università.  È questa la strada per continuare a competere su innovazione, ricerca e tecnologie. Per competere sempre di più in Europa e nel mondo, con l’obiettivo di una crescita inclusiva e della nuova e buona occupazione”.

Dalla sua nascita, Iret ha pubblicato oltre 250 articoli su riviste scientifiche internazionali e presentato oltre 400 contributi a congressi scientifici nel mondo. Oggi per la Fondazione, da sempre impegnata su grandi progetti nazionali e internazionali, si apre una nuova fase di crescita e sviluppo: la partecipazione a un bando regionale ha permesso a Fondazione Iret, che finora si è completamente autofinanziata, di accedere a una copertura del 60% dei costi del progetto di ampliamento della struttura (pari a 200.000 euro), a carico della Regione Emilia-Romagna. Ma obiettivo della Fondazione è aumentare l’impegno su nuovi fronti scientifici, ampliare ulteriormente le attrezzature e allargare il gruppo di ricerca, con l’inserimento di nuove risorse umane e la creazione di opportunità di lavoro continuativo, in cui convenzioni con università e associazioni di pazienti avranno un ruolo primario. Anche per questo Iret punta a intensificare i rapporti con gli enti e le imprese del territorio e non solo, rivolgendo ad aziende e imprenditori l’invito a supportare la ricerca d’avanguardia in un ambito cruciale per la società.

L’ampliamento della sede è stato progettato dallo studio bolognese NOBO: il progetto nasce da un gioco elementare di proporzioni e di multipli che replica in sequenza continua a tutt’altezza il ritmo delle otto fasce colorate simbolo istituzionale della Rete Alta Tecnologia della regione Emilia Romagna. La massa piena colorata e il volume trasparente dell’atrio si combinano con l’esistente con volontà di opposizione ma anche di continuità e costituiscono ulteriore elemento di identità territoriale nel paesaggio tecnologizzato del polo universitario di Ozzano.

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