Torna l’indagine di CNA Nazionale sulla tassazione nelle pmi italiane, un confronto incrociato tra 135 comuni italiani, denominata “comune che vai, fisco che trovi”. Sostanzialmente stabile la situazione di Modena, dove la tassazione aumenta di un decimale (uno 0,1% che “costa” all’imprenditore 122 euro), rispetto all’anno scorso, ma che, complice l’aggravarsi della tassazione locale in latri territori, consente alla nostra città di scalare due posizioni portandosi dal 56esimo posto al 54esimo su 137 piazze a livello nazionale, e confermandosi al terzo posto per ciò che riguarda le città capoluogo di provincia della regione, dietro la più virtuosa Reggio Emilia e Ferrara, comunque meglio della media nazionale (61,4%).

 

I calcoli sono dell’Osservatorio permanente della Cna Nazionale sulla tassazione delle pmi, che ha realizzato una simulazione riferita a una impresa manifatturiera rappresentativa del tessuto economico italiano (nel caso specifico, un’azienda individuale con quattro operai e un impiegato, operante in un laboratorio artigiano di 350 metri quadrati, con annesso negozio destinato alla vendita di 175 mtq e relativi macchinari e arredamenti, oltre che di un automezzo, ricavi per 431.000 euro e un reddito d’impresa di 50.000 euro).

Un’azienda di questo tipo, a Modena, nel 2018 avrà pagato a fine anno 29.953 di euro in tasse, il 59,9% del proprio reddito (cioè 122 euro, lo 0,1%, in più rispetto al 2017), imposte che per l’82,3% sono “nazionali” (Irpef, contributi, eccetera), per l’11,5% – stabili – comunali, e per 6% (-0,1%) regionali.
L’aumento della tassazione è determinato dalla crescita dell’IVS, ovvero i contributi previdenziali obbligatori che gravano sugli imprenditori. Imprenditori ai quali, in base all’esempio, partendo da un reddito d’impresa di 50.000 euro, rimarrebbero 20.046 euro, vale a dire circa 1.670 euro al mese, senza tredicesime di sorta.
Tradotti in termini “cronologici”, significa che l’impresa in oggetto quest’anno lavorerà per il fisco sino al 6 agosto – il tax free day degli imprenditori modenesi – uno in più rispetto al 2017, con 219 giorni all’anno impegnati a pagare i tributi e 146 giorni i cui guadagni potranno essere destinati ai consumi personali.

Le cose potrebbero cambiare per quelle imprese che scegliessero l’opzione Iri: l’imposta sul reddito d’impresa, un regime opzionale applicabile alle imprese individuali e alle società di persone in contabilità ordinaria, in base al quale le somme prelevate dai soci dal reddito d’impresa sono tassate sulla base delle aliquote Irpef dei soci stessi, mentre la parte del reddito che rimane nell’impresa è tassata con un’aliquota fissa del 24%. Grazie a questo meccanismo, fortemente voluto da CNA, si avrebbe una riduzione – 687 euro nel caso modenese – della tassazione Irpef, sia a livello nazionale che locale.

Numeri alla mano, negli ultimi sette anni le variazioni non sono state poi così ampie, anche se non è stato sempre così, come dimostra l’andamento del Total Tax Rate nel triennio 2012 (63,9%), 2013 (63%) e 2014 (61,9%). “In ogni caso, – commenta Claudio Medici, presidente della CNA di Modena – anche se è vero che gli aumenti annuali sono limitati ai decimali, è un fatto che le tasse continuino ad aumentare, al di là degli annunci: 38 euro tra il 2015 e il 2016, 53 l’anno seguente, 122 quest’anno. Non solo, quindi, il total tax rate non si riduce, ma i numeri continuano a dimostrare come il fisco rappresenti ancora un’emergenza. Basti pensare che anche in alcune capitali europee dove la tassazione totale si attesta attorno al 40%, è ben più facile fare impresa. La pressione fiscale in Italia è troppo elevata, qualunque dato si prenda. Ma il problema vero risiede piuttosto nella iniqua distribuzione del carico, che si distingue in modo radicale secondo la natura del reddito e svantaggia le imprese, in particolare le piccole imprese personali. Ed è ovvio come la tassazione dei redditi prodotti dalle persone fisiche non possa essere diversa a seconda della differente modalità con cui si genera reddito. C’è poi da aggiungere che, mentre le grandi industrie possono aggirare l’ostacolo ad esempio prendendo la residenza fiscale all’estero, questi comportamenti, peraltro eticamente discutibili, a noi sono preclusi”.

LE RICHIESTE DI CNA
Dunque, molto resta ancora da fare per arrivare ad un fisco più equo e sostenibile per le piccole imprese. Tra i vari interventi, alcuni di questi sono di semplice applicazione (ad esempio, l’adeguamento dei valori catastali degli immobili a quelli di mercato, per rendere l’Imu coerente con questi ultimi; ancora, l’agevolazione del passaggio generazionale delle imprese individuali tramite la completa neutralità fiscale delle cessioni d’azienda, come accade nei conferimenti; poi permettere la cessione alle banche dei crediti d’imposta per i lavori di ristrutturazione edilizi).
Altri, invece, potrebbero rappresentare una vera inversione di tendenza: l’introduzione della Flat Tax, in modo progressivo e credibile, cioè sulla base delle risorse rese disponibili attraverso il recupero dell’evasione e la riduzione della spesa pubblica, prevedendo una preveda la riduzione delle aliquote IRPEF, a partire da quelle più basse del 23% e del 27%, ed eliminando la discriminazione attuale operata dalle detrazioni da lavoro delle piccole imprese personali. Infine, l’estensione del regime forfettario a tutte le imprese individuali e ai professionisti con ricavi sotto i 100.000 euro, una norma che nasce da una precisa richiesta di CNA, ma oggi limitata alle sole realtà con ricavi compresi tra i 25mila ed i 50mila euro.

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